Luigi Rognoni (1913-1986): fenomenologia della musica radicale

Tra i membri della Scuola fenomenologica di Milano non va dimenticata la figura del musicologo Luigi Rognoni, discepolo di Antonio Banfi e co-fondatore, insieme con Enzo Paci, della rivista “aut aut”, del cui Comitato di Direzione rimase membro onorario sino alla morte.

Pur appartenendo a una diversa generazione, ebbi la fortuna e il privilegio di frequentare la sua casa milanese, in corso Plebisciti 12, per alcuni mesi, nell’autunno-inverno del 1985-1986. Ero stato presentato all’illustre musicologo da Francesca Romana Paci, perché stavo allora concludendo il riordino dell’Archivio Enzo Paci e la monografia sul giovane Paci, che avrei pubblicato due anni dopo. L’incontro fu fulminante: per alcuni mesi interruppi il lavoro nell’archivio Paci e mi immersi in quello (enormemente più affascinante) di Rognoni, scrivendo la prima bibliografia completa dei suoi scritti e curando la mostra documentaria “Luigi Rognoni milanese: itinerario di un intellettuale europeo”, che si tenne a Palazzo Sormani nel gennaio 1986.

Benché fosse molto provato nel fisico (sarebbe morto di enfisema polmonare di lì a pochi mesi) e soprattutto nello spirito, Rognoni conservava in modo impressionante i tratti caratteriali così spesso ricordati dai suoi allievi: lo spirito giovanile (non giovanilistico), l’ironia e soprattutto l’autoironia (che possedeva in modo sommo e raro), la serietà unita alla radicalità dell’impegno culturale, che ne aveva fatto uno degli intellettuali più interessanti della Milano del dopoguerra. Queste testimonianze preziose, unitamente alla pubblicazione di una parte selezionatissima del suo archivio, si possono ora consultare nei tre volumi dell’Archivio sonoro siciliano, numero 7, curato nel 2010 da Pietro Misuraca. Gli ultimi due scritti antologizzati in questa raccolta sono frutto di quel nostro incontro: un “Ricordo di Antonio Banfi”, scritto in occasione del convegno “Il problema della ragione in Antonio Banfi e nella sua scuola”, tenutosi a Varese nel maggio 1985, e i toccanti “Frammenti di un colloquio postumo”, contributo al fascicolo commemorativo su Enzo Paci, nel decennale della morte, della rivista “aut aut” (uscirà un anno dopo la scomparsa dello stesso Rognoni, con titolo modificato: Ascoltando Schönberg, “aut aut” 214-215, lu.-ott. 1986, pp. 21-26).

Proprio da questo, che fu l’ultimo scritto di Rognoni, voglio citare una pagina straordinaria (Archivio sonoro siciliano, 301-2). Rognoni si rivolge in prima persona all’amico scomparso da quasi un decennio e, ironia della sorte, quando l’articolo verrà pubblicato, anche lui avrà raggiunto lo spirito di Paci nei Campi Elisi della Musica e della Filosofia. Ne risulta un toccante dialogo dei morti, che sarebbe certo piaciuto all’amico Luigi Dallapiccola.

Quando ci siamo incontrati per la prima volta? E’ passato mezzo secolo da allora; questo è certo, come è sicuro che avevamo io meno e tu poco più di vent’anni. Tu eri già all’Università; io un “irregolare”, già per qualche mese ospite del Raggio VII di S. Vittore, rilasciato con “ammonizione” politica, scacciato dai licei, scribacchiavo su L’Ambrosiano e qualche altro giornale… Tu avevi lasciato l’Università di Pavia per passare a Milano, dove insegnavano Banfi, Baratono, Errante, Lugli, Castiglioni. Era il ’31 o il ’32 ed abitavi solo in Via Curtatone. Ma in quale occasione ci siamo conosciuti? Fu con Anceschi, Ballo, Persico, Raffaellino De Grada alla Libreria Gilardi e Noto? O alla Scala, in piccionaia, che io frequentavo assiduamente o, come è possibile, alle lezioni di Banfi … Comunque il nostro incontro fu subito sul terreno della musica: eravamo entrambi degli accesi wagneriani, capaci di ascoltare alla Scala sei, otto volte di seguito, il Tristano, e poi canticchiarcelo per ore notturne da un angolo all’altro delle strade di Milano senza mai deciderci a raggiungere le rispettive dimore.

Rognoni appartiene dunque alla generazione degli anni Dieci (per l’esattezza, nasce a Milano nell’agosto 1913). Inquieto e ribelle, non completa gli studi regolari, ma è (come Croce del resto) autodidatta. Apprende dalla madre, Luigia Arbib Clément (in arte Franca Luisa Clementi), cantante lirica, i rudimenti della tecnica pianistica, che perfezionerà in seguito, con elementi di composizione musicale, nel discepolato di Alfredo Casella. Negli anni Trenta intraprende un’effimera carriera direttoriale, con l’Orchestra d’archi di Savona, dedicandosi anche alla composizione. Ma è soprattutto come critico musicale, che il giovane Rognoni si mette in luce, conducendo battaglie memorabili e minoritarie, a sostegno della musica moderna e internazionalista, in un clima culturale impregnato di retorica nazionalistica, dalle pagine de L’Ambrosiano e della Rivista musicale italiana. E’ frequentando, in veste di critico e di corrispondente, la Biennale veneziana, che Rognoni si familiarizza con la tecnica dodecafonica di Schönberg e di Webern, e stringe relazioni intime d’amicizia con i maggiori compositori e direttori d’orchestra dell’epoca, documentate da un ampio carteggio (Luigi Dalla Piccola, Gianfrancesco Malipiero, Goffredo Petrassi, Ferdinando Ballo, Gianandrea Gavazzeni, Louis Cortese, Aurel Millos e molti altri). Gli stimoli culturali che animano la sua febbrile attività (giornalista e critico musicale, collaboratore della Radio Svizzera, collezionista di pellicole cinematografiche, redattore di case editrici) gli provengono dalla frequentazione, in veste di “irregolare”, della scuola di Antonio Banfi e degli ambienti intellettuali a cui tale frequentazione lo apriva (in primo la futura moglie e fedele compagna Eva Randi, e le grandi amicizie di una vita: con Enzo Paci, Vittorio Sereni, Francesco Degrada e, in una cerchia più allargata: Lavinia Mazzucchetti, Massimo Mila, Alberto Mantelli, Emilio Vedova).

Da questa reciproca fecondazione di filosofia (o come Rognoni amava ripetere, banfianamente, “fenomenologia della cultura”) e critica d’arte scaturirà, nel dopoguerra, l’originale opera di estetica musicale del Nostro. I suoi due libri più importanti, entrambi pubblicati da Einaudi, e che ebbero diverse edizioni e ristampe (Espressionismo e dodecafonia. La scuola musicale di Vienna, 1954 e Rossini, 1956) gli valsero la cattedra di Storia della musica all’Università di Palermo (tra il 1957 al 1970) e successivamente a quella di Bologna (dal 1971 al 1983). Ma al suo temperamento anticonformista e al suo radicalismo politico mal si adattavano gli abiti accademici (anche se la sua grande umanità e la sempre verde passione lasciarono negli allievi profonde tracce e una importante seminagione culturale). Egli era piuttosto un spirito animatore e un entusiasta, che lasciò un segno originale, non sempre sufficientemente riconosciuto, nei diversi ambienti intellettuali e nelle ampie relazioni internazionali, che la sua quasi infantile curiosità lo portava a frequentare. Interessato alle forme moderne di tecnica e di comunicazione artistica, collabora dal 1946 alle prime trasmissioni RAI (Rete azzurra) ed è, con Alberto Mantelli, tra gli ideatori del Terzo Programma (indimenticabili sono gli aneddoti, che amava ripetere, degli anni in cui frequentò Carlo Emilio Gadda, il professor Cutolo, Mike Buongiorno, Franca Valeri, Massimo Girotti). Pioniere dell’arte cinematografica, con Alberto Lattuada, Luigi Comencini e altri, fonda nel 1946 la Cineteca Italiana, di cui è conservatore tra il 1945 e il 1956 (si cimenterà anche nella regia, realizzando diversi documentari, tra cui due importanti, che verranno presentati alla Biennale del cinema di Venezia: nel 1953 quello sul restauro del Cenacolo leonardesco, la cui colonna sonora venne scritta appositamente da Luigi Dallapiccola, ed Etruria viva (nel 1955), su musiche di Fulvio Testi, oltre a diverse retrospettive sul cinema muto).

Ma Rognoni, oltre che riconosciuto studioso e apostolo dell’espressionismo della Scuola musicale di Vienna (curatore, fra l’altro, della Filosofia della musica moderna di Adorno, di cui condivideva, in amichevole polemica con Enzo Paci, l’impostazione francofortese), ebbe soprattutto un ruolo culturale rilevante, in qualità di ponte e di coniugazione critica tra due generazioni di musicisti italiani d’avanguardia (quella dei Dallapiccola, Malipiero, Petrassi e quella dei Berio, Nono, Maderna). Rognoni ebbe infatti un certo ruolo nella nascita dello Studio di fonologia musicale della RAI, cui collaborano Luciano Berio e Bruno Maderna, che introdussero in Italia le ricerche sperimentali più avanzate sul suono e sulla musica elettronica, già praticate in Germania e negli Stati Uniti d’America. Nel corso degli anni Sessanta e Settanta (durante i quali alternò, alla attività universitaria e pubblicistica, la regia teatrale operistica, anche alla Scala di Milano) Rognoni conservò un atteggiamento aperto alle nuove indagini musicali, pur rimanendo, sentimentalmente e culturalmente, legato alla propria formazione post-romantica ed espressionista.

In conclusione, possiamo dire che Luigi Rognoni abbia incarnato, all’interno della Scuola di Milano, l’anima musicale, in accordo discorde con le voci poetiche di Sereni, quelle filosofiche di Paci e di Preti, quelle artistiche e critiche dei Formaggio, Treccani e Degrada. Ma anche l’anima internazionalista, l’orrore per la chiusura provinciale e per la retorica culturale, che negli anni giovanili aveva ispirato a Banfi, nei suoi confronti, un atteggiamento quasi paterno di stima e di protezione.

[Discorso pronunciato in occasione del 70° anniversario di Fondazione della Casa della Cultura, Milano 3 febbraio 2016. Una versione lievemente modificata del testo è apparsa in viaBorgogna3, n. 1, Milano 2016, pp. 76-86, con il titolo: “Luigi Rognoni un intellettuale europeo”].

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