Antonio Banfi (1886-1957)

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30.9.1886 (Vimercate) — 22.7.1957 (Milano)

Publications

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Die Phänomenologie und die Aufgabe des gegenwärtigen philosophischen Denkens

1996 - in: Cristin Renato (ed), Phänomenologie in Italien , Würzburg, Königshausen & Neumann, pp. 45-58.

Vita dell'arte: scritti di estetica e filosofia dell'arte

1988 - (edited by Scaramuzza Gabriele, Mattioli Emilio), Reggio Emilia, Istituto Antonio Banfi

Filosofia fenomenologica

1968 - aut aut 105-106, pp.130-141

Filosofi contemporanei

1961 - , Firenze, Parenti

Saggi sul marxismo

1960 - , Roma, Editori Riuniti

Husserl et la crise de la civilisation européenne

1959 - in: Béra Marc-André (ed), Husserl. Troisieme Colloque philosophique de Royaumont (23-30 avril 1957): L'oeuvre et la pensée de Husserl , Paris, Editions de Minuit, pp.411-427.

La ricerca della realtà: Vol I.

1959 - , Firenze, Sansoni

La ricerca della realtà: Vol. II

1959 - , Firenze, Sansoni

Sulla conoscenza intuitiva

1959 - aut aut 54, pp.364-373

Husserl e la crisi della civiltà europea

1958 - aut aut 43-44, pp.1-17

Edmund Husserl

1939 - Civilta moderna 11, pp.52-63

La fenomenologia e il compito del pensiero contemporaneo

1939 - Revue internationale de philosophie 1 (2), pp.326-341

Problemi e Principi fondamentali di un' Estetica filosofica

1937 - in: Congrès international d'esthétique et de science de l'art (ed), Deuxième Congrès International d'Esthétique et de Science de l'Art: Vol. 1 , Paris, Alcan, pp.23-26.

Principi di una teoria della ragione

1926 - , Firenze, La Nuova Italia

La fenomenologia pura di Husserl e l'autonomia ideale della sfera teoretica

1923 - Rivista di Filosofia 14, pp.208-224

La tendenza logistica della filosofia contemporanea e le "Richer-che logiche" di Edmund Husserl

1923 - Rivista di Filosofia 14, pp.115-133

Antonio Banfi è stato un filosofo italiano. Nato a Vimercate il 30 settembre 1886, e formatosi anche a Mantova e Berlino, è comunemente considerato il capostipite della “Scuola di Milano”. Alla sua scomparsa, nel luglio del 1957, fu ritrovato sul suo scrittoio un saggio inedito ma compiuto dal titolo “Husserl e la crisi della civiltà europea”. Commentando i testi pubblicati nel volume VI della Husserliana, Banfi descriveva il lavoro di Husserl come “l’eroismo socratico della ragione che ancora e sempre sveglia gli uomini dal torpore dell’abitudine quotidiana”. La speranza husserliana di una rinascita dello spirito europeo attraverso la filosofia – in cui si univa alla “severità della ricerca teoretica […] un profondo, vivissimo pathos umano” – spingeva Banfi ad affermare che quelle pagine fossero “le più grandi forse che siano state scritte da un filosofo contemporaneo” (A. Banfi, “Husserl e la crisi della civiltà europea”, Aut Aut, 43-44, gennaio-marzo 1958, p. 1). Sebbene nell’articolo Banfi non mancasse di sottolineare alcuni aspetti dogmatici del pensiero di Husserl, il filosofo tedesco veniva finalmente descritto – nelle ultime parole che Banfi ci ha lasciato – come colui che nel ’900 ha più “lottato e operato per l’instaurazione dell’autonomia e della universalità critica della ragione”, dando vita a una filosofia volta a “garantire lo sviluppo di un concreto aperto umanesimo storico” (p. 17).

Tale convinto apprezzamento appare peculiare da parte di un filosofo che aveva indirizzato gli studi degli ultimi lustri della sua vita verso il “copernicanesimo” (o “umanesimo marxista”), ma non stupisce se si considera il rapporto di lungo corso che Banfi aveva intrattenuto con Husserl e la sua filosofia. Per di più nello scritto emergevano, oltre all’interesse rinnovato per la fenomenologia che intanto assumeva un ruolo centrale nel dibattito filosofico italiano, accenni di delusione proprio per l’impegno politico comunista. Banfi aveva conosciuto l’opera di Husserl negli anni ’10 del ’900, grazie probabilmente all’interesse per quest’ultimo dei suoi compagni di studio berlinesi Confucio Cotti e Andrea Caffi. La prima guerra mondiale, sui cui fronti Banfi non giunse mai, rallentò tuttavia la sua produzione filosofica: fu solo nel 1923 che sulla Rivista di Filosofia apparvero “La tendenza logistica nella filosofia tedesca contemporanea e le Ricerche logiche di E. Husserl” e “La fenomenologia pura di E. Husserl e l’autonomia ideale della sfera teoretica”, in assoluto i primi studi italiani sul tema (secondo quanto si evince dalla Edmund Husserl Bibliography, curata nel 1999 da Steven Spileers per il volume IV della sezione Dokumente della Husserliana).

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Nell’atmosfera di chiusura culturale imposta dal fascismo, Banfi cercò di incentivare gli scambi fra la filosofia italiana e le nuove correnti di pensiero europee ed americane. Il suo interesse fu in alcuni casi non solo teorico, fondandosi in relazioni di amicizia come quelle con Simmel, o con lo stesso Husserl e sua moglie Malvine, conosciuti personalmente durante i loro viaggi in Italia: di quel rapporto è testimonianza il carteggio contenuto nel monumentale Briefwechsel husserliano pubblicato nel 1994, dove Banfi risulta l’unico corrispondente italiano del filosofo tedesco. Sebbene, tuttavia, Banfi possa essere indicato come colui che per primo ha introdotto la fenomenologia nel dibattito italiano, difficilmente lo si potrebbe definire un fenomenologo tout court: dall’hegelismo al kantismo, dal pensiero di Simmel e Nietzsche a quello di Bruno, Spinoza, Marx e Tolstoj, troppe furono le influenze che segnarono il pensiero banfiano prima dell’incontro con Husserl perché questo potesse divenire il suo unico faro.

Quelle ed altre influenze, spesso conflittuali fra loro, allargarono l’orizzonte banfiano e lo spinsero a ricercare nella filosofia una sistematicità aperta del pensiero in cui i diversi ambiti della cultura trovassero la propria collocazione organica ma autonoma. Nel panorama filosofico italiano, che nel primo ’900 si andava progressivamente dividendo nei due contrapposti idealismi crociano e gentiliano, Banfi cercò di aprire un cammino differente, non esente da limiti, ma che si poneva come obiettivo di lungo corso la comprensione della crisi epocale europea. Da questo punto di vista, la convergenza di prospettive con Husserl, indicato da Banfi come il terzo dei suoi maestri dopo Martinetti e Simmel, venne naturale: quello della “crisi” fu un tema che accompagnò Banfi sin dall’inizio del suo itinerario filosofico e che proprio dall’incontro con Husserl uscì raffinato, rafforzandosi ulteriormente nei primi anni ’40 grazie alle riflessioni sul tema della “persona”.

Dopo essersi segnalato ripetutamente come antifascista, firmando anche il manifesto crociano del 1925, Banfi giunse più che quarantenne all’insegnamento universitario all’inizio degli anni ’30: per ottenere una cattedra, tuttavia, dovette scendere a compromessi col fascismo, costretto a richiedere la tessera del partito e ad accettare il giuramento richiesto ai docenti universitari che il suo mentore Martinetti aveva rifiutato. Fu lo stesso Martinetti, pur inviso al regime, a manovrare la propria successione alla cattedra milanese favorendo l’allievo. Tali compromessi, che erano comuni o simili a quelli cui dovettero ricorrere molti altri docenti ed intellettuali antifascisti, permisero a Banfi di dare vita ad un circolo universitario da cui sarebbero uscite alcune delle energie migliori della Resistenza lombarda e della rinascita culturale del secondo dopoguerra.

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Il senso di apertura della ricerca di Banfi sembra rispecchiarsi nelle figure di coloro che ne furono allieve o frequentatori assidui sin dall’inizio del suo magistero accademico. Così come la filosofia banfiana, partendo dai temi della persona e della crisi, si concentra sull’autonomia delle diverse “sfere spirituali” della vita e del sapere, allo stesso modo le sue allieve e i suoi allievi si indirizzarono negli ambiti più diversi della cultura senza mai rimanere chiusi in un’idea rigida di scuola: dalla filosofia (Enzo Paci, Giulio Preti e Fulvio Papi) all’antropologia (Remo Cantoni), dalla pedagogia (Giovanni Maria Bertin) alla storia della scienza (Paolo Rossi), dalla politica al giornalismo (Aldo Tortorella e Rossana Rossanda), dalla filologia (Maria Corti) alla poesia (Vittorio Sereni, Antonia Pozzi e Daria Menicanti), dal cinema alla musica e alla critica musicale (Mario Monicelli, Nino Rota, Luigi Rognoni e Raffaele De Grada), dall’estetica alla prassi artistica (Luciano Anceschi e Dino Formaggio), fino all’editoria, l’insegnamento e l’organizzazione culturale (Arnoldo Mondadori e le sorelle Clelia e Ottavia Abate).

Banfi seppe inoltre muoversi abilmente nei tre campi istituzionali dell’università (fra Milano e Perugia), dell’editoria (collaborando soprattutto con Bompiani, Garzanti e Mondadori) e della politica (prima appoggiando attivamente la Resistenza, poi venendo eletto senatore col Partito Comunista), e stabilì forti legami con personaggi come Eugenio Curiel o Norberto Bobbio, che, pur non essendo suoi allievi, trovarono nel più anziano amico un interlocutore privilegiato: politico, nel caso di Curiel, che prima di essere ucciso dai fascisti nel febbraio ’45 aveva creato proprio assieme a Banfi il Fronte della Gioventù, o filosofico, nel caso di Bobbio, che con Banfi condivise i suoi primi studi sulla fenomenologia e l’esistenzialismo.

È un insieme polifonico, e a tratti dissonante, di voci intellettuali, i cui comuni tratti esteriori sono ex post facilmente identificabili: gravitarono attorno a Milano, vissero un impegno politico (perlopiù comunista o socialista) appassionato e lacerante e, dal punto di vista filosofico, mostrarono spesso interesse proprio per la fenomenologia. Ma su ognuna di quelle voci l’influenza di Banfi fu, per intensità e segno, differente: se per molte egli rimase nel tempo un punto di riferimento imprescindibile, non pochi furono coloro che col maestro entrarono, presto o tardi, in conflitto. Sarebbe tuttavia un errore di valutazione storica non vedere come per tutto quest’ambiente la figura di Banfi abbia svolto una funzione determinate nell’attrarre energie di rinnovamento e nello stimolarne lo sviluppo. La filosofia banfiana non si è eretta a sistema obbligando fedeli seguaci, ma ha stimolato un movimento vivo e differenziato segnando in maniera determinante lo sviluppo della cultura democratica nazionale. È in questo senso che, riprendendo l’espressione coniata da Fulvio Papi nel 1990, si può senza dubbio parlare di una Scuola di Milano.

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In Italia l’attenzione per questa scuola è cresciuta negli ultimi anni, coinvolgendo studiose e studiosi di nuove generazioni provenienti anche da ambiti culturali distanti dalla tradizione banfiana. Il rinnovamento di questi studi, a cui questo blog vuole contribuire, è stato favorito dalle recenti sistemazioni dei documenti banfiani negli archivi di Milano (Archivio della Biblioteca di Filosofia dell’Università di Milano), Varese (Centro Internazionale Insubrico “Carlo Cattaneo” e “Giulio Preti”) e Reggio Emilia (Biblioteca Panizzi), e sta mostrando sempre di più il ruolo fondamentale che Banfi e la sua scuola hanno avuto nella storia filosofica, culturale e politica del Novecento italiano. Ciò nonostante il pensiero e l’opera di Banfi non hanno ancora ottenuto eguale attenzione fuori dall’Italia: i lavori storiografici su Galilei e gli studi di estetica hanno avuto ampia diffusione con numerose traduzioni nel mondo iberico e nelle lingue slave, e i saggi sul marxismo sono stati tradotti persino in giapponese, ma scarsa è stata l’attenzione all’impianto strutturale del pensiero banfiano. Tra gli obiettivi che ci proponiamo c’è dunque anche quello di favorirne – consci dell’attenzione attuale del mondo anglosassone per nostra cultura attraverso la lente, forse un po’ deformante, degli Italian Studies – una maggiore conoscenza nel dibattito internazionale.