Giovedì 4 maggio, nella cornice del Collegio Ghislieri di Pavia, ha avuto luogo la giornata di studi Fenomenologia come stile: Declinazioni del metodo fenomenologico in Italia e in Francia. Tale iniziativa è stata resa possibile grazie al finanziamento dell’Institut Français e dell’Ambasciata di Francia in Italia, che hanno indetto un bando per dottorandi italiani finalizzato a sostenere l’organizzazione di giornate di studi italo-francesi e a favorire così le relazioni tra giovani ricercatori, centri di ricerca e università italiane e francesi.
Nel preparare il progetto di partecipazione al bando, si è voluto proporre come focus di approfondimento la fenomenologia, concependola secondo un taglio preciso. Quello fenomenologico, infatti, è un metodo che è stato recepito e declinato secondo maniere e stili tra loro molto differenti. Nel cercare allora di valorizzare quelli che sono i punti in comune e le differenze tra la ricerca e il pensiero filosofico in Italia e in Francia, la fenomenologia risultava essere un terreno molto fertile. La fenomenologia stessa, infatti, si presenta come uno stile, come un movimento irriducibile a un sistema filosofico e caratterizzato, piuttosto, da una domanda e da un metodo specifici. Scrive Merleau-Ponty, nella prefazione a Fenomenologia della percezione, che “la fenomenologia si lascia praticare e riconoscere come maniera o come stile ed esiste come movimento ancor prima di essere giunta a un’intera coscienza filosofica”, e aggiunge che “se la fenomenologia è stata un movimento ancor prima di essere una dottrina o un sistema, ciò non è un caso né un’impostura. Essa è laboriosa come l’opera di Balzac, quella di Proust, quella di Valéry o quella di Cézanne – per lo stesso genere d’attenzione e di stupore, per la stessa esigenza di coscienza, per la stessa volontà di cogliere il senso del mondo o della storia allo stato nascente”. È a partire dunque da qui che si è voluto approfondire la fenomenologia come stile, cercando di valorizzare la specificità della ricezione del metodo husserliano in Italia – in particolare con la Scuola di Milano, che è oggetto oggi di un rinnovato interesse; e della sua ricezione in Francia, paese in cui la fenomenologia è stata accolta in modo quanto mai profondo e altrettanto profondamente è stata rielaborata, fino ad oggi.
Il programma della giornata si è composto di quattro interventi, tenuti da: Fabrice Colonna, Claude Romano, Carlo Sini e Luca Vanzago. Sul fronte italiano, l’attenzione è stata rivolta alla Scuola di Milano e al “ritorno a Husserl” che ha caratterizzato il pensiero filosofico italiano tra gli anni ’40 e ’60. Gli interventi di Carlo Sini e di Luca Vanzago hanno magistralmente mostrato la specificità e l’influenza del pensiero fenomenologico italiano, con particolare riferimento alla figura di Enzo Paci. Sini, il cui intervento – intitolato Il luogo dell’incontro con il fenomeno – ha aperto i lavori della giornata, si è concentrato sullo stile proprio della fenomenologia, ripercorrendo le radici del suo metodo: dove e come si può tornare alle cose stesse? Qual è il luogo proprio del fenomeno? A partire dall’affermazione di Husserl, per la quale tutto il compito della sua vita è stato quello di comprendere l’apriori universale della correlazione, Sini ha sottolineato la centralità della relazione per il metodo fenomenologico: la fenomenologia non è altro che la descrizione della relazione prima tra il soggetto e la datità. Eppure si presentano immediatamente, già agli occhi di Husserl, due problemi fondamentali, quelli della linguisticità e della temporalità dell’esistenza. Come posso sospendere e descrivere se tutto è linguaggio, se l’Occidente – come affermò Nietzsche – è grammatica? Come posso sospendere e descrivere, inoltre, se gli atti della coscienza sono temporali? Per questa ragione, l’attenzione di Sini si è rivolta alla storicità e alla vita prescientifica come fondamento stesso della fenomenologia, come il vero luogo di incontro del fenomeno. La fenomenologia deve assumere e farsi carico della prassi e della metamorfosi come cifre del suo stile più proprio. Così come ha fatto la filosofia di Enzo Paci, della quale Sini ha sottolineato l’ispirazione goethiana e leibniziana: quella di Paci è dunque una monadologia e una cosmologia che trovano il suo fondamento sulla doxa soggettiva intesa come una variazione e un intersecarsi di mappe che orientano l’esperienza del mondo.
L’intervento di Vanzago – intitolato Tempo, evento, relazione. L’interpretazione di Enzo Paci della fenomenologia husserliana – è stato interamente dedicato alla figura di Enzo Paci, in particolare alla sua interpretazione di Edmund Husserl intorno alle tematiche del tempo, dell’evento e della relazione. La lettura incrociata di questi autori e di questi temi è stata ricca di dettagli e di approfondimenti: qual è stata la specificità del pensiero di Enzo Paci? Vanzago ha ripercorso il pensiero paciano rintracciando nell’interpretazione della totalità come evenemenzialità il suo punto più alto: l’essere non è altro dall’apparire, ma da un apparire che è presenza vivente, che è un presentarsi qui e ora a un cogito che è inteso da Paci come una monade fluente, come una percezione sempre immersa nel tempo. Ne emerge una teleologia negativa, che non dimentica il deperimento, come il perpetuo perire, nozione centrale nel pensiero di Whitehead. Vanzago si è quindi rivolto, in conclusione, a una descrizione dei punti fondamentali del relazionismo di Enzo Paci, sottolineando l’influenza che Whitehead – insieme a Husserl – ha avuto sul suo pensiero. Più di tutte è la definizione della soggettività come evento a meritare l’attenzione: oltre l’esistenza, la fenomenologia deve diventare una filosofia della vita, fondata sulla relazione e sulla processualità. L’individualità è ora interpreta come un processo, al cui interno vi è sempre una negatività. È la negatività stessa la radice della soggettività umana, una negatività che è al cuore della Natura e che è così garante della continuità e dell’emergenza dell’umano.
Sul fronte francese, gli interventi di Fabrice Colonna e di Claude Romano si sono rivolti rispettivamente allo stile proprio della fenomenologia di Merleau-Ponty, in relazione agli studi sperimentali di psicologia che lo hanno profondamente influenzato, e a un’interrogazione generale, da parte di Romano, sulla possibilità di definire la fenomenologia come uno stile. Colonna si è concentrato sulla Phénoménologie expérimentale (questo il titolo del suo intervento) di Maurice Merleau-Ponty. In particolare, si è rivolto alla specificità della sua fenomenologia, indirizzata tanto al metodo fenomenologico husserliano quanto agli studi sperimentali della psicologia della Gestalt, che il fenomenologo francese ha sempre seguito e rielaborato nel corso del suo pensiero. La centralità della percezione nella fenomenologia merleau-pontyana è la testimonianza del rifiuto di definire la coscienza come un sorvolo e, di conseguenza, della ricerca di una maniera alternativa per pensare la correlazione tra soggetto e esperienza. La domanda che ha percorso l’intervento di Colonna ha riguardato proprio il modo, il come della fenomenologia di Merleau-Ponty: il ritorno al fenomeno, per lui, non può fare a meno della lezione di Husserl ma si rivolge con altrettanto interesse alla psicologia della Gestalt. Colonna ha infatti sottolineato come la variazione in Merleau-Ponty fosse più vicina a una variazione di tipo “reale”, esito di esperimenti scientifici, che a quella eidetica – e quindi immaginativa – del suo maestro. L’esperienza di laboratorio, che non conduce affatto a un fisicalismo, è la sola a permettere di risvegliare i fenomeni dormienti che sarebbero altrimenti rimasti inapparenti o ignorati. Colonna ha inoltre fatto notare che il senso di questa fenomenologia sperimentale è stata particolarmente sviluppata in Italia, per esempio con Paolo Bozzi o Franco Paracchini. Ne è emersa in conclusione un’interessante analisi della nozione di stile, come variazione ontologica: l’ontologia di Merleau-Ponty è dimensionale, appoggiata su livelli e atmosfere, e per questa ragione essa può permettere un approfondimento inedito e originale nella descrizione del sensibile.
L’intervento di Romano – intitolato La fenomenologia oltre lo stile? – ha concluso la giornata ponendo un’interrogazione sulla fenomenologia come metodo filosofico: è possibile definire uno stile proprio alla fenomenologia? Quali sono i limiti? Partendo dalla definizione di Levinas della fenomenologia come stile, Romano ha d’altra parte denunciato l’ambiguità di tale nozione: che cos’è esattamente uno stile? A partire da esso, infatti, si diramano due direzioni, tra loro opposte: la via dello stile come generalità, che raggruppa delle caratteristiche, in senso normativo, e la via dello stile come individualità, che si delinea allora come operatore di singolarizzazione. Agli occhi di Romano, la definizione della fenomenologia come stile sarebbe però problematica per quanto riguarda entrambe queste direzioni: essa non è un canone né una singolarità. Cosa mancherebbe alla fenomenologia, se la definiamo come uno stile? Secondo Romano, la fenomenologia sarebbe privata proprio del suo intento cognitivo, della ricerca della verità: come pensare, a quel punto, le essenze e il loro carattere di necessità?
L’evento è stato organizzato grazie al finanziamento dell’Ambassade de France en Italie. Si ringrazia in modo particolare il Collegio Ghislieri per l’accoglienza e la disponibilità.